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UN’INSOLITA COMPAGNA: LA DISLESSIA
28 settembre 2013
Presentiamo un piccolo estratto del capitolo della nuova edizione del romanzo Un’insolita compagna: la dislessia, di Filippo Barbera.
Il libro parte dall’esperienza vissuta dall’autore e giunge alla descrizione delle soluzioni e strategie messe in atto per risolvere questo disturbo specifico dell’apprendimento. Il racconto si sviluppa attraverso un dialogo con la maestra delle elementari, da cui emergono pontaneamente considerazioni e testimonianze che possono aiutare a conoscere le problematiche di questo disturbo. Il primo capitolo presenta il travagliato periodo della scuola media, in cui le difficoltà dello studente, provocate dai DSA, sono aumentate a causa dell’insensibilità e incompetenza degli insegnanti. Di seguito proponiamo un estratto dedicato al ruolo che giocano i genitori nel percorso scolastico dei figli, perché uno degli elementi più importanti per aiutare i DSA si cela proprio dietro la collaborazione scuola-famiglia.
"Con voce chiara e straordinariamente calma, cominciai a parlarle degli anni trascorsi alla scuola media.[...] Devo ringraziare mia madre che, al momento di iscrivermi alla scuola media, era andata a parlare con la Preside, richiedendo espressamente questa insegnante. Aveva sentito parlare molto bene di lei, ed essendo convinta che in una classe l’insegnante di lettere é fondamentale per l’elevato numero di ore che trascorre con gli alunni, voleva assicurarsi che avessi il meglio. Anche per non buttare alle ortiche tutto il percorso che avevo fatto alle elementari. Immagino quale fosse il suo disagio nel presentarsi alla Preside e raccontarle la mia storia, una storia che, tranne noi, nessuno conosceva. Mia madre non amava parlarne, diceva che la gente non capiva, che ci avrebbero solo giudicato e compatito; preferiva sentirsi accusare di fare preferenze per il figlio maggiore piuttosto che mettersi a spiegare a parenti e amici il perché mi dedicava così tanto del suo tempo. Le uniche persone con le quali riusciva ad aprirsi erano, oltre alla sua amica del cuore, mio padre, con cui sfogava la sua rabbia e la sua stanchezza, la logopedista e la neuropsichiatra infantile alle quali sottoponeva i tanti perché a
cui non riusciva rispondere, e poi tu, Margherita. Tutte persone già addentrate nella conoscenza del problema. Essersi esposta con la dirigente scolastica, deve esserle costato molto perché non è nel suo carattere chiedere privilegi, ma, per un figlio – dice – ci si dà coraggio e si fa quello che mai ci si sarebbe sognati di fare. Se il figlio, poi, è un bambino con disturbo di apprendimento, la vita dei genitori diventa particolarmente insidiosa, perché sono costretti ad affrontare sacrifici, rinunce e scelte difficili. Alle tradizionali mansioni di genitore se ne aggiungono altre, più difficili, che lo vedono impegnato in un gran numero di attività da svolgere con il figlio: prima fratutte, studiare assieme a lui, assicurandogli però la conquista della propria autonomia. L’ho vissuto io con mia madre, quando, pur rientrando stanca dal lavoro, per me aveva sempre tempo, e non rinunciava mai a quell’ora al giorno che si era prefissata di dedicarmi per studiare assieme. Filippo preparati, mi diceva. Ed io sapevo che una volta terminata la cena, era lì, pronta ad aspettarmi con nuovi esercizi da sottopormi. I suoi interventi non si limitavano solamenteallo studio, giocava insieme a me e spesso andavamo al campetto del quartiere per giocare a basket. Mi allenava nei tiri liberi, nel terzo tempo. Aveva giocato anche lei a pallacanestro. Era uno sport che le piaceva molto, mi parlava del suo ruolo di play maker, mi raccontava degli aneddoti, descrivendomi qualche sua partita importante, qualche vittoria, come quella che aveva portato la squadra della sua scuola ai giochi della gioventù a Roma. Ma si soffermava anche su qualche suo insuccesso, sul fatto che non sempre riusciva a giocare tutto un tempo e che qualche volta se ne stava a tifare in panchina. Era il suo modo per sdrammatizzare il fatto che non avevo una buona coordinazione nei movimenti, per farmi capire che sofferenze e ingiustizie ci sono per tutti e che non c’entrava nulla il fatto che io fossi dislessico se non riuscivo a fare canestro al primo colpo o se durante una partita non giocavo più di un tempo. Vedi, Marghe, i genitori di un bambino dislessico condividono con il figlio le frustrazioni, le umiliazioni, gli insuccessi, ma devono avere la capacità di superare tutto questo e motivare sempre e comunque il loro bambino. Devono combattere in prima linea affinché vengano rispettati i diritti del figlio, devono seguirlo nel percorso di rieducazione, aiutati, a differenza degli specialisti, dall’affetto, dal calore e dalla quotidianità dei rapporti che hanno con lui. E questo mia madre l’ha sempre fatto, non mi sono mai sentito solo e sentivo condiviso il peso della mia sofferenza, tanto che mi sembrava diminuisse quando stavo con lei, perché lei di quel peso portava una buona parte. Mi faceva sentire difeso, andava a colloquio con alcuni insegnanti nella speranza che capissero che cos’era la mia dislessia. Soprattutto con l’insegnante d’inglese, materia in cui ero un vero disastro. Ma non cercava per me giustificazioni, voleva solo precisare all’insegnante che la mia dislessia mi portava ad avere difficoltà di scrittura in italiano, la mia lingua naturale, di conseguenza l’inglese, lingua in cui i singoli grafemi non corrispondono alla pronuncia, mi procurava confusione. Voleva solo che l’insegnante considerasse le mie produzioni scritte in modo diverso, e che il suo intervento didattico fosse un po’ riadattato, che capisse che per Filippo c’era bisogno di più tempo. Ma le sue parole, Marghe, restavano spese a vuoto. Ogni insegnante sembrava aver capito, e si dimostrava accondiscendente. Peccato che poi, in classe, durante le lezioni, se ne dimenticasse subito. Per questo e non solo per questo motivo, degli altri insegnanti preferirei non parlare e il loro ricordo serve ancora ad aumentare la mia rabbia e il mio dolore, ogni volta che ripenso a questo periodo della mia vita. Hanno prodotto solo risentimento e desiderio di vendetta."
Tratto da Un’insolita compagna: la dislessia
Filippo Barbera